La biblioteca ha un valore misurabile?

Siamo soliti immaginare una biblioteca come una grande raccolta di beni librari antichi e moderni e di altre risorse accomunate da un indiscusso valore legato al contenuto, quindi prettamente culturale.

Questa considerazione è assolutamente legittima, ma parziale: il valore di un bene culturale è anche economico.

Vediamo in queste righe cosa significa dare un valore complessivo al patrimonio di una biblioteca.

Già a partire dal 1876 il Regolamento organico per le biblioteche governative del Regno[1]  poneva l’attenzione sugli aspetti amministrativi e contabili, oltre che su quelli strettamente bibliotecari: erano introdotti i temi del controllo e della responsabilità patrimoniale e della professionalità dei dipendenti.[2] Inoltre era incluso l’obbligo per la tenuta degli inventari topografici e d’ingresso.

È con l’art. 7 del Regio Decreto del 23 maggio 1924[3] che le biblioteche, insieme alle proprie raccolte artistiche e scientifiche, vengono iscritte nella categoria dei beni immobili agli effetti della compilazione degli inventari a cura del Ministero delle Finanze e delle altre amministrazioni centrali.

La prima fonte normativa che ha imposto un trattamento contabile a questi beni è il decreto legislativo 279/1997[4] includendoli nel bilancio del Patrimonio dello Stato.

Quali sono i criteri per la corretta valutazione economica?

Al riguardo, il Ministero dell’economia e delle finanze ha emanato il Decreto interministeriale 18 aprile 2002 “Nuova classificazione degli elementi attivi e passivi dello Stato e loro criteri di valutazioni“, in cui sono inclusi i beni librari suddivisi nelle diverse tipologie (manoscritti, incunaboli, libri antichi e moderni, stampe) sottoponendo gli stessi ad una duplice valutazione: le risorse acquisite entro il 1875 vengono valutate sulla base di criteri bibliografici, tipologia del materiale, stato di conservazione o altri parametri (andamento del mercato antiquario e perizie effettuate da istituti ed esperti).Per il restante materiale bisogna aggiornare i valori iscritti nei registri d’ingresso in base ai valori ISTAT, nonché quelli indicati per unità bibliografica in una tabella allegata al citato Decreto.[5]

Quali benefici comporta dunque una corretta valutazione economica dei beni librari di una biblioteca?

Può indubbiamente risultare fruttuosa sotto diversi punti di vista per le amministrazioni che ne sono consegnatarie e che impiegano risorse pubbliche per la relativa cura.

Appare ragionevole, infatti, considerarli come un asset di ente pubblico o privato effettuandone la valutazione patrimoniale, in funzione di:

  • apprezzamento economico di un bene posseduto;
  • programmazione di investimenti e progetti volti alla tutela, fruizione, conservazione e valorizzazione degli stessi beni;
  • miglioramento dei servizi offerti grazie ad una precisa strategia di gestione dei contributi pubblici;
  • conseguente riduzione delle spese ed incremento della redditività;
  • maggior capacità di autofinanziamento per gli stessi enti.

Queste considerazioni con i relativi benefici possono essere estese anche alle biblioteche di soggetti privati, poiché misurando la capacità economica dei beni librari (così come dei beni archivistici) è possibile tracciare una rappresentazione contabile utile, se non indispensabile, sotto molti punti di vista: per individuare e gestire le fonti di finanziamento necessarie, per regolare con meticolosità l’impiego di risorse pubbliche e per poter impiegare in modo efficace quelle private.

[1] R.D. n. 2974 del 20 gennaio 1876, aggiornato poi dal R.D. n. 3464 del 28 ottobre 1885

[2] Bollettino AIB, vol. 42 (2002), n.2 . De Pasquale Federica, Biblioteche, bibliotecari e regolamenti: il Regolamento del 1885 nel giudizio degli addetti ai lavori

[3] R.D. del 23 maggio 1924, n. 827 : Regolamento per l’amministrazione del Patrimonio e per la contabilità generale dello Stato

[4] Articolo 14 del d.lgs .n. 279/1997

[5] Allegato A, Decreto interministeriale 18 aprile 2002