Partenariato pubblico-privato e biblioteche

Parafrasando, nell’ottica che seguirà, le intuizioni di uno dei padri del pensiero filosofico occidentale, possiamo affermare che la società si fonda sul principio della divisione del lavoro e della necessaria interdipendenza che le varie attività – con lo scopo di produrre beni necessari alla collettività – hanno.

 

È Platone che nel dialogo de La Repubblica ci introduce alla concezione organicistica della comunità, ed è da Platone, dunque, che è possibile iniziare a rafforzare la tesi circa il profondo valore di ciò che oggi chiamiamo Partenariato Pubblico-Privato (PPP), quale sistema di raccordo tra autorità pubbliche e imprese private fornitrici di servizi.

 

La codificazione del paradigma di PPP, risalente al Libro verde[1] della Commissione CE, presentato il 30 aprile del 2004, denota fin da subito una limpidezza di intenti: lo sviluppo di un modello di partenariato tra soggetto pubblico e partner privato garantisce la realizzazione di progetti di pubblica utilità a vantaggio degli elementi in gioco: pubblica amministrazione, soggetto privato e utenza pubblica, in una posizione di collaborazione attiva e paritaria.

 

Considerando ancora, dunque, l’altisonante richiamo iniziale, solo in apparenza iperbolico, l’interrogativo da porsi sopraggiunge in modo fin troppo naturale: perché no?

Nell’usuale dinamismo contrattuale, che vede prevalere l’appalto pubblico al citato PPP, l’elemento che troppo spesso viene a mancare è la fluidità. Di cosa? Delle relazioni. È un contratto, questo, che stride fin dai preliminari momenti di raccordo: il soggetto pubblico decide e il più delle volte impone, mentre il privato esegue.

 

A rifletterci bene, il punto della situazione rientra nella composizione dell’appellativo: Partenariato Pubblico-Privato. La condizione paritaria che il modello in questione pone come base del rapporto, lascia intendere da sé il vantaggio che la coralità degli interventi nella definizione ed esecuzione di un progetto può generare. In altre parole, un processo produttivo creato dalla coesistenza di forze di diversa natura (pubblica e privata, appunto) nei momenti di progettazione, finanziamento, costruzione o rinnovamento, gestione e manutenzione, sarà ben più solido, efficace e vantaggioso perché condiviso.

 

In un ambito come quello culturale, e più specificamente biblioteconomico, vessato dalle conseguenze generate dalla mancanza di personale adeguatamente formato, dagli esigui finanziamenti e dall’imprevedibilità nel calcolo delle tempistiche di lavoro, una gestione dei progetti collaborativa e studiata su più fronti con interventi di diversa preparazione risulta vitale per una corretta attività professionale.

 

Affrontare le fasi di realizzazione in un rapporto di condivisione di rischi e vantaggi – dall’ideazione all’erogazione dei servizi – può impattare in modo significativo sulla presentazione e fruizione dei progetti sulla pubblica utenza; e in una dimensione come quella cui apparteniamo parrebbe logico, quindi, iniziare a ragionare su uno studio di fattibilità per l’utilizzo dello strumento PPP declinato alle biblioteche.

 

A questo proposito, non è un caso che i criteri di valutazione di una biblioteca abbiano virato verso lidi qualitativi, lasciandosi alle spalle quelli quantitativi: è necessario un ritorno alla deontologia, e per farlo serve consapevolezza. Le biblioteche hanno bisogno di una visione, come testimoniano le intenzioni del Convegno delle Stelline 2023, e una modifica alla prassi che vede, in questo senso, l’appalto pubblico come unico attore in scena, questa visione, può aiutare a definirla.

[1]             EUR-Lex, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A52004DC0327