L’archivistica e il suo linguaggio. Cos’è l’inventario d’archivio?

Continuiamo la nostra serie di approfondimenti sul linguaggio degli archivi e dell’archivistica. Stavolta ci occupiamo dell’inventario.

I documenti hanno destini diversi da quando nascono a quando diventano storici. Alcuni non diventano nemmeno storici, semplicemente una volta svolta la loro funzione vengono eliminati.

Per ciascuna fase del loro ciclo di vita, corrente, di deposito, o storica, gli archivi hanno modalità di gestione peculiari e sono fruiti da differenti tipologie di utenti.

Per ogni tipo di utenza e istanza vanno dunque previsti ed elaborati a cura degli archivisti specifici strumenti e tecniche di ordinamento, descrizione e ricerca.

Concentrandoci ora sulla fase storica, lo strumento fondamentale a livello del fondo archivistico1 è l’inventario.

Tradizionalmente esso descrive le singole unità archivistiche (fascicoli, registri, volumi) che compongono un fondo secondo le loro aggregazioni e articolazioni originarie: le serie ed eventuali sottoserie e raggruppamenti di serie2.

Tuttavia le ultime evoluzioni delle tecnologie informatiche (es. le applicazioni per Linked Data e Semantic Web), basate sul modello RDF e sui database a grafo, stanno imponendo un ripensamento dei metodi e delle logiche tradizionali applicate alla descrizione archivistica3: da una rappresentazione tipicamente gerarchica dell’archivio verso rappresentazioni che diano invece conto dei molteplici contesti in cui sono immersi i documenti e della rete di relazioni non gerarchiche esistenti fra le varie entità, fornendo innumerevoli punti di accesso alle risorse informative.

Scopo dell’inventario non infatti è solo quello di descrivere le unità archivistiche nell’ambito della struttura originaria del fondo, ma anche quello di restituire tutte le informazioni relative al contesto di produzione dei documenti, non immediatamente intellegibili dal contenuto dei singoli documenti.

Riprendendo la sistematizzazione proposta da Paola Carucci4, l’inventario deve riportare i seguenti elementi essenziali:

  • strutturali, ovvero le articolazioni del fondo in serie (ed eventuali superserie o sottoserie);
  • identificativi, che comprendono i dati utili alla identificazione delle singole articolazioni del fondo e all’interno di queste delle singole unità archivistiche, quali: date estreme, numeri di corda,  segnature originali5;
  • descrittivi, quali note introduttive al fondo e alle singole serie, dette anche “cappelli”, titolo delle unità archivistiche ed eventuale descrizione integrativa del contenuto;
  • complementari, ovvero indici (antroponimi, toponimi, entonimi), appendici, avvertenze, abbreviazioni, tavole di raffronto, bibliografia.

Oltre a tali elementi l’inventario deve prevedere:

  • una nota istituzionale, nella quale dar conto della storia istituzionale dell’ente cui si riferiscono le carte e delle sue funzioni nell’ambito di un generale e sintetico inquadramento del periodo storico di riferimento;
  • una nota archivistica, fondamentale per restituire tutte le informazioni sullo stato di ordinamento del fondo, su eventuali lacune riscontrate e le loro cause, sugli interventi di riordinamento operati, sul rapporto tra l’assetto istituzionale del soggetto produttore e l’organizzazione delle carte.

Informazioni di natura istituzionale e archivistica più specifiche saranno fornite nei “cappelli” – termine utlizzato dagli addetti ai lavori per questo genere di introduzioni alle serie – alle singole serie sopra richiamati.

L’inventario può avere gradi diversi di analiticità, anche diversificati all’interno dello stesso inventario, rapportando le descrizioni alla natura dell’archivio e al contenuto delle unità archivistiche.

Non esiste infatti un parametro oggettivo per stabilire la differenza tra un inventario analitico e un inventario sommario.

In generale, si può definire analitico un inventario che descriva le singole unità archivistiche proprie di ciascuna serie e che sia corredato di opportune introduzioni, generali e per serie, e di indici.

L’impianto descrittivo di un inventario “tradizionale”, dunque, è basato sulla struttura gerarchica del fondo e va dal generale al particolare, dai livelli di aggregazioni più alti (fondo, eventuale subfondo, raggruppanti di serie) a quelli più bassi (serie, sottoserie) fino ad arrivare alla singola unità archivistica.

La descrizione dei complessi documentari secondo una struttura gerarchica è un requisito che è stato recepito anche dallo standard internazionale per la descrizione archivistica, noto come ISAD(g)6, pubblicato nel 1994 dal Consiglio internazionale degli archivi7, che infatti prevede:

  • che per ciascun livello descrittivo siano fornite solo le informazioni appropriate a quel livello;
  • che sia mantenuto sempre evidente il rapporto gerarchico tra i livelli descrittivi (fondo, serie, sottoserie etc.), evitando la ripetizione delle informazioni, ovvero quanto già detto per un livello non dovrà essere ripetuto nei livelli figli.

 

Gli standard forniscono un modello descrittivo condiviso che, tuttavia, non deve essere applicato in maniera pedissequa, ma richiede sempre un’interpretazione critica da parte dell’archivista che descrive il fondo, derivante dallo stato di ordinamento, dalla completezza informativa, dalle tipologie di oggetti documentari che lo costituiscono.

[1]    Per fondo si intende il complesso organico dei documenti riconducibile a un determinato soggetto produttore.

[2]    Serie: raggruppamento di unità archivistiche con caratteristiche omogenee in relazione alla natura giuridica, alla funzione, alla materia o alla forma dei documenti come risultato di una specifica attività.

[3]    Cfr. il nuovo modello concettuale pubblicato in bozza nel 2016 dall’International Council on Archives (ICA), “Record in Contexts: Conceptual Model (RIC-CM)”, basato sul modello RDF.

[4]    P. Carucci, Strumenti di ricerca. Descrizione, normalizzazione, automazione, in Manuale di archivistica, di P. Carucci e M. Guercio, 2008, pag. 105.

[5]    Numero di corda: numerazione progressiva delle unità di conservazione (faldoni, scatole, volumi) e delle unità archivistiche in esse contenute.

Segnatura archivistica: codice alfanumerico che identifica l’unità archivistica nell’archivio corrente.

[6]    International Standard of Archival Description (general).

[7]    Nel 1995 l’ICA pubblicò un secondo standard, l’ISAAR (CPF), specificamente pensato per la descrizione dei soggetti produttori di archivi, e nel 2008 l’ISDIAH per la descrizione degli istituti conservatori.