Intervista a Giuseppe Mancini, logopedista e docente di “Scienze riabilitative integrate”

”Nel linguaggio medico, la logopedìa è la cura dei disturbi del linguaggio”.
Un linguaggio che ha subito un cambiamento notevole, non solo in termini di lessico, ma di esposizione e capacità di costruzione, venendo declassata in subordine alla neo- comunicazione tecnologica, sicuramente più immediata quanto più povera di contenuti.
Certamente i bibliotecari possono fare molto per riconsegnare al linguaggio verbale il suo ruolo principe, ma non senza l’aiuto di figure professionali con le quali poter interagire e collaborare.

Abbiamo scoperto la biblioterapia con la dottoressa Rosa Mininno, ora approfondiamo il tema del linguaggio e dei suoi molteplici aspetti intervistando invece il dott. Giuseppe Mancini, logopedista presso la ASL RM 5, docente di “Scienze riabilitative integrate” presso l’Università di Tirana (Albania) e docente di “Riabilitazione neuropsicologica dell’adulto cerebroleso” presso l’Università di Tor Vergata per master di I livello.


Dott. Mancini, la lettura viene considerata una terapia, tanto che la Biblioterapia è stata ideata ed applicata come strumento di aiuto e completamento alla tradizionale terapia psicologica.
La lettura può essere applicata in Logopedia? In caso affermativo, può spiegarci come e farci degli esempi?
La lettura è da sempre uno strumento per accedere alle conoscenze. Dove c’è lettura c’è scrittura e chi decide di lasciare una traccia “scritta” probabilmente vuole che tale traccia rimanga nel tempo. Questa è una prima funzione del libro ovvero una testimonianza. La logopedia, come disciplina riabilitativa e rieducativa, lavora molto sulla lettura: l’ambito più conosciuto, senza dubbio, è quello del recupero e/o il potenziamento di questa abilità come strumento per lo studio di materie scolastiche. Il logopedista si pone non solo come trainer ma come ri-motivatore nell’uso della lettura e quindi del libro. Il bambino dislessico teme il libro perché rappresenta e incarna la sua difficoltà. Il logopedista ha il ruolo di ri-presentare il libro in maniera non traumatica, come un luogo non di sofferenza ma di accoglienza: il libro non giudica ma ti apre alla conoscenza.
In altri casi, come nell’autismo invece, il libro unisce due mondi: quello del bambino e del suo interlocutore che spesso non viene percepito e/o spaventa. Il libro sollecita pluri-sensazioni (visiva, uditiva, tattile) e soprattutto le emozioni e il contatto! Quando si legge un libro a un bambino con autismo l’aspetto della condivisione diventa fondamentale. La prosodìa accompagna gli aspetti emotivi e il libro sollecita la creazione di immagini, di fantasie e diventa un modo per comunicare e stimolare anche gli aspetti cognitivi.


Cosa succede fisicamente e mentalmente alla persona che legge ad alta voce?
La lettura è un processo neurocognitivo complesso che parte dalla vista per arrivare a significati astratti e ad aspetti comunicativi ancora più complessi. Se in più ci mettiamo la voce il processo diventa ancora più completo. La persona che legge a voce alta fa molto lavoro fisico che va dalla respirazione alla coordinazione costo-diaframmatica per arrivare a modulare la voce dando la corretta prosodìa a seconda del testo che sta leggendo. Molto spesso la lettura ad alta voce diventa uno strumento terapeutico per il solo fatto di creare un feedback acustico da riascoltare modulare e sentire a più livelli. La voce è un mondo anch’esso misterioso e non sempre elaborato e ben esplorato: pensate a quante persone non piace risentire la propria voce (che è unica!) o si sorprende a risentirla e non la riconosce come propria! 

Chi legge per altri, spesso per i bambini, ha un doppio ruolo: quello di trasmettere conoscenza a chi non può (ad es il bambino ancora non scolarizzato) e di creare una relazione, una storia (pensate al genitore che legge una favola e al bambino che non vorrebbe mai che smettesse: in fondo è un modo per non lasciarlo andare e per non sentirsi solo). Molti bambini non prestano neanche attenzione a quello che legge il genitore: a loro basta la voce (un aspetto, se vogliamo, fisico ma nello stesso tempo consistente che verrà poi immagazzinato in una memoria a lungo termine).


Qual è il vantaggio della lettura ad alta voce rispetto alla cosiddetta “lettura con gli occhi”?
Proprio per quello che ho detto prima: “a voce alta” rappresenta un’affermazione, una maggiore presenza per me stesso e per gli altri: mi sento (in senso ampio!), mi sentono (ci sono anche per gli altri). Aggiungere voce a quello che si legge significa rinforzare anche di più quello che sto apprendendo. Molte persone utilizzano questa modalità, infatti, per non distrarsi e per far sì che l’informazione sia selettivamente immagazzinata.


Lei si occupa di adulti e di adolescenti che hanno subito un trauma, comportando in taluni casi di perdita di memoria: anche se si perde il significato della parola, ha potuto riscontrare se la lettura viene “dimenticata”?
Esistono varie forme di dislessie: alcune sono presenti già dallo sviluppo altre si acquisiscono in seguito a lesioni cerebrali (traumi cranici, ictus, tumori specifici di alcune aree del cervello, demenze, ecc.). In età evolutiva come in adulta si possono avere dei problemi a riconoscere le lettere e quindi a leggere una parola. In altri casi, come nelle afasie (disturbo di linguaggio acquisito in seguito a un ictus ad es.) la persona potrebbe avere problemi nella transcodifica e quindi nella lettura a voce alta ma potrebbe sapere che quella stinga di lettere (ad es. C/A/N/E) corrisponde al concetto di animale. In casi molto gravi la persona potrebbe avere, per via di una lesione di una parte del cervello deputata al riconoscimento di lettere, anche difficoltà a leggere. Ho avuto un caso di una donna molto giovane che in seguito a un’emorragia cerebrale era in grado di scrivere ma non di leggere, neanche quello che lei stessa scriveva (un esempio di alessìa senza agrafia) ma, siccome il cervello trova le su strade, se ricalcava con il dito la lettera “C” o una “A” era in grado di riconoscerla: la sua lettura avveniva tramite la memoria del gesto di quelle specifiche lettere!


Sembra che nei casi di persone con disturbi nella lettura quali la dislessia, sia piuttosto facile assistere ad un calo del desiderio di leggere, dovuto alle difficoltà continue che incontrano. Ritiene che le Biblioteche possano essere il luogo in cui trovare il giusto stimolo per ripartire?
La dislessia è un disturbo che, per quanto oggi riconosciuto, è sempre vissuto in maniera molto particolare da chi ne soffre. Nella mia esperienza vedo che non è molto importante la gravità ma come si reagisce al disturbo e come viene fatto vivere. Molti bambini pur di non abbandonare gli aspetti ludici e sociali preferiscono porre in secondo piano il problema, per cui sì, la Biblioteca potrebbe funzionare da “conciliatrice e mediatrice”. Forse bisognerebbe trovare delle forme “alternative” di accesso al libro anche perché in fondo l’obiettivo finale è quello di apprendere e conoscere.


A proposito di Biblioteca, evidenziandone l’accezione di “luogo di aggregazione” ritiene che l’incontro con altre persone possa essere di stimolo al miglioramento dei problemi nel linguaggio?
Io credo che tutto quello che motiva, come la socialità e il divertimento, faccia bene alla comunicazione e quindi al linguaggio, alle relazioni. Con i pazienti adulti, trattati in gruppo, sicuramente la biblioteca rappresenta uno dei luoghi più idonei in cui trovare gli stimoli più giusti per migliorare il linguaggio, non solo in termini di relazione con gli altri, ma in quanto raccolta di strumenti atti a raggiungere lo stesso scopo: leggere libri, commentarli, ricordarli, ecc. sono operazioni che si svolgono per lavorare su aspetti di memoria, attenzione, linguaggio e pragmatica della comunicazione.


Secondo lei cosa può fare la Biblioteca per aiutare i ragazzi con difficoltà nell’espressione verbale?
In particolar modo le Biblioteche scolastiche, purtroppo lasciate molto indietro in termini di personale addetto e di materiale adeguato a coprire tutte le esigenze, comprese quelle che afferiscono a difficoltà nel linguaggio.
Forse una prima cosa da fare sarebbe quella di “rivisitarle” e renderle più appetibili. Purtroppo, andando a memoria, la biblioteca è una stanza dove sono riposti volumi anche interessanti ma che per i ragazzi non lo sono, soprattutto se confrontati con la tecnologia. Oggi i ragazzi si muovono nell’etere con grande facilità, dimestichezza e velocità! La biblioteca è “sanamente” lenta ma non si sincronizza con le nuove generazioni. Forse bisognerebbe trovare una formula mista dove il libro incontri la tecnologia o altre forme di comunicazione. In ambito musicale la musica classica ha dovuto cedere un po’ della sua classicità per incontrare nuovi stili e renderla più accessibile anche alle orecchie dei millennials.


In molti casi i problemi di linguaggio sono accompagnati da difficoltà nell’apprendimento e in taluni casi da veri e propri disturbi cognitivi : re-insegnare agli adulti a leggere è più difficile rispetto ad un bambino?
Sicuramente la plasticità cerebrale di un giovane cervello è maggiore rispetto a quella dell’adulto ma è anche vero che molto dipende dalla patologia. Inoltre è difficile che si abbia solo ed esclusivamente un disturbo di lettura, soprattutto quando parliamo di deficit acquisiti in seguito a lesioni cerebrali. Molto spesso il programma riabilitativo prevede il trattamento di molti aspetti cognitivi e comportamentali e prevedono programmi di intervento che implicano anche l’uso della CAA (Comunicazione Aumentativa e Alternativa).


“La comunicazione parte non da chi parla, ma da chi ascolta “: questa bellissima frase è il motto della Federazione dei Logopedisti Italiani di cui Lei fa parte. Purtroppo sempre meno persone sanno ascoltare, sempre meno si prendono il tempo di farlo e di conseguenza sempre meno parlano. Il non parlare e quindi il non esprimersi può portare secondo lei ad un aumento della lettura?
“Senti chi non parla” è il nostro motto per mettere al centro la persona che si esprime, non importa come! Sta a noi (non solo logopedisti ma anche l’intera comunità) capire la modalità con cui interfacciarsi con le persone. Ci sono persone che amano immergersi e perdersi nella lettura, ma da sola naturalmente non basta come forma comunicativa. La lettura è senza dubbio un valido mezzo per conoscere e comunicare, ma se rimane solo fine a se stessa potrebbe diventare un disturbo più che un punto di forza.


La lettura da parte dei genitori è un momento di fondamentale importanza nella crescita ed educazione del bambino, come si legge su www.centroamamente.it: «l’animazione e l’ascolto della lettura ad alta voce permettono di sostenere e valorizzare lo sviluppo del bambino sin dai primi momenti, a partire dal concepimento in poi, stimolandone l’attenzione, l’ascolto, il linguaggio, la relazione. Purtroppo però sempre più si riscontra una tendenza a lasciar soli i bambini nelle fasi comunicative , per intenderci lasciare che legga o apprenda attraverso gli strumenti tecnologici (es. invece di leggergli una fiaba, lo si lascia guardare il video). Ha potuto riscontrare un aumento dei problemi nel linguaggio proprio dovuto a questo tipo di comportamento?
Ci sono molti studi che confermano gli aspetti positivi della lettura in bambini anche piccolissimi. Fino a quando il bambino non entra in contatto con il mondo tecnologico che ruba e incanta il suo interesse come le sirene di Ulisse, il libro rimane un modo per stare fin da piccolo vicino e soprattutto in relazione con i genitori. Il genitore spiega e nutre il bambino a piccole dosi proporzionate alle sue capacità di assimilazione, proprio come accade per il cibo; la tecnologia corrisponde a un’ abbuffata di informazioni senza avere il piacere né di assaporarle né di digerirle con la conseguenza che non saranno assorbite!
Una delle conseguenze principali è la riduzione abnorme del lessico: i bambini hanno un vocabolario molto ridotto rispetto ai loro coetanei di qualche decennio fa. Anche la capacità di scrivere dei componimenti è molto ridotta. Il bambino non sa più raccontare una storia, un gioco, un evento accaduto perché non ha modelli: è telegrafico, usa molte parole-passpartout e frasi fatte con ricaduta sull’efficacia comunicativa.


Non leggere o leggere poco porta secondo noi inevitabilmente ad un cambiamento nella modalità di esprimersi : una riduzione nell’uso di parole e nel lessico di propria conoscenza, sostituendone la mancanza con frasi preconfezionate o ripetute; un aumento della gestualità che accompagni ciò che non si riesce a dire altrimenti; l’uso di suoni che sostituiscano le parole. Ce lo può confermare?
Appunto … vedi sopra! Aggiungo però che la responsabilità nasce anche dal genitore che non presenta il libro come qualcosa di ludico e forse anche dalle scarse proposte editoriali, almeno qui nel nostro paese. C’è anche da dire che essendo un mercato che attira poco porta anche poco gli autori a produrre materiale creando così un circolo vizioso. Gli anglosassoni hanno investito di più sulla fascia dell’età evolutiva rispetto a noi che invece adottiamo e adattiamo ancora materiale straniero.