Archivi storici: sono sempre consultabili?

Nel corso di una ricerca in archivio, consultando un inventario è probabile che si trovi la dicitura “Non consultabile” in corrispondenza di una o più serie in esso descritte.

Infatti sebbene i documenti conservati negli archivi di Stato, negli archivi storici delle regioni, nonché di ogni altro ente o istituto pubblico siano liberamente consultabili1, esistono una serie di limitazioni a tale principio per alcune categorie di documenti:

  • i documenti dichiarati di carattere riservato (cfr. art. 125 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, in seguito Codice), in quanto relativi a particolari aspetti della politica estera e interna dello Stato, diventano consultabili 50 anni dopo la loro data;
  • i documenti contenenti dati sensibili, o “particolari” secondo la rinnovata accezione introdotta dal GDPR2, e dati relativi a provvedimenti di natura penale sono consultabili 40 anni dopo la loro data;
  • i documenti idonei a rivelare lo stato di salute, la vita sessuale o rapporti riservati di tipo familiare divengono consultabili 70 anni dopo la loro data.

 

Quindi la nota “Non consultabile” presente in un inventario sta ad indicare la presenza di unità archivistiche contenenti documenti che rientrano in una delle categorie sopra dette o il cui trattamento pone restrizioni in conformità alla disciplina sulla protezione dei dati personali (cfr. art. 126 del Codice) e che per tali motivi non possono essere dati liberamente in consultazione.

Generalmente in questi casi l’archivista coadiuva lo studioso operando, se possibile, quella che in gergo tecnico viene definita “scrematura”: l’operazione di selezione all’interno delle unità archivistiche richieste in consultazione dei documenti non consultabili, che vengono temporaneamente estratti dal fascicolo.

Un altro limite alla libera consultazione degli atti di archivio si verifica nel caso in cui un istituto archivistico conservi carte versate da altri soggetti pubblici o privati prima che sia trascorso il periodo di 30 o 40 anni dalla data che formalmente sancisce il passaggio alla fase storica dei documenti d’archivio. La loro consultazione sarà possibile solo una volta trascorso tale periodo.

Si tenga presente, inoltre, che i soggetti privati che donano, vendono o lasciano in deposito, legato o eredità fondi o serie archivistiche possono disporre la non consultabilità dei documenti dell’ultimo settantennio, eccezion fatta per eventuali soggetti aventi causa.

Il Codice, tuttavia, prevede delle eccezioni che consentono di ovviare alle restrizioni sulla consultabilità degli atti d’archivio sopra esposte.

E’, infatti, consentita la consultazione a scopi storici dei documenti dichiarati di carattere riservato previa autorizzazione del Ministro dell’interno, concessa su parere del direttore dell’Archivio di Stato competente o del soprintendente archivistico3 e udita l’apposita commissione per le questioni inerenti alla consultabilità degli atti di archivio riservati, istituita presso il medesimo Ministero (art. 123). Tale autorizzazione non muta il carattere “riservato” delle carte ed è valida esclusivamente per l’attività di ricerca del singolo richiedente.

Inoltre, l’art. 124 dà la facoltà alle amministrazioni statali, alle regioni e agli altri enti e istituti pubblici, territoriali e non, di disporre la consultazione per scopi storici dei propri archivi correnti e di deposito, vale a dire prima che sia trascorso il termine perentorio dei 30 e 40 anni per il versamento agli archivi di Stato o alla separata sezione di archivio storico.

In ultimo, è bene precisare che le restrizioni previste dalla normativa sulla consultabilità degli atti d’archivio non si applicano alle richieste di accesso formulate ai sensi della disciplina sull’accesso ai documenti amministrativi.

[1]    Cfr. art. 122 del D.Lgs n. 42/2004 e smi – Codice dei beni culturali e del paesaggio.

[2]    Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali […].

[3]    Si ricorda che la competenza sugli archivi degli enti pubblici territoriali e non e su ogni altro ente o istituto pubblico, nonché sugli archivi privati dichiarati di notevole interesse storico (cfr. art. 13 del Codice) spetta alle soprintendenze archivistiche.